In preparazione al pellegrinaggio regionale a Galanoli, pubblichiamo alcune notizie relative alla Beata di Orgosolo, ispiratrice e protettrice dell’incontro del 7 Ottobre.
– La vita –
Antonia Mesina nacque ad Orgosolo (Nu), il 21 giugno 1919, da Agostino Mesina e Grazia Rubanu, seconda di dieci figli. Era una bambina gracile, ma, superate diverse malattie, crebbe sana e robusta. A sedici anni viene descritta come una bella ragazza, alta 1m e 54 cm. Dal 1929 al 1931 fece parte dell’Azione cattolica come “beniamina”. Divenne “effettiva” dal 1934 all’anno della morte, il 1935. Dopo le prime classi delle elementari si dovette fermare per aiutare la mamma in casa. Anche la sua frequenza nell’Azione cattolica era limitata dalle necessità della famiglia.
Le cronache raccontano della sua partecipazione attiva alla “Crociata della purezza”, propagandata da Armida Barelli, che giunta ad Orgosolo trovò nel parroco Cabras un valido assistente. Antonia Mesina non aveva la cultura per comprendere il significato di “purezza”, ma fece tesoro della testimonianza del martirio di Maria Goretti: tanto che il fratello Giulio rivelò che la beata orgolese possedeva un libro della vita della santa pontina e la conosceva bene. Testimoni del processo di beatificazione affermano che più volte, riferendosi al sacrificio di Maria Goretti, Antonia Mesina avesse detto che, trovandosi nella stessa situazione si sarebbe fatta uccidere. I testimoni raccontano di una progressiva manifestazione della “purezza” in lei, che abbinava un incredibile pudore alla preghiera del rosario, alla partecipazione alle attività mariane ed alla frequenza dell’eucaristia.
– Il martirio –
Il 17 maggio 1935, Antonia Mesina partecipò presto alla messa del mese mariano, e quindi si recò nella vicina campagna per raccogliere legna per fare il pane. Lungo la strada, verso i boschi di proprietà comune degli abitanti di Orgosolo incontrò una sua amica vicina di casa, che diverrà anche la più importante testimone dei fatti, sia al processo penale sia in quello di beatificazione, Annedda Castangia. Furono sorpassate da un giovanotto che però persero di vista. Giunte le due ragazze in un posto con molta legna secca si misero riunirla in fascine. Le due ragazze erano distanti poche decine di metri quando Annedda udì Antonia gridare disperata “Babbo! Babbo! Annedda! Annedda!”.
La ragazza si voltò e vide Antonia assalita dallo stesso giovane di prima. La morte di Antonia Mesina giunse rapidamente nel paese e lo sconvolse. Le cronache e gli atti del processo istituito presso la Corte d’Assise di Sassari permisero di ricostruire le fasi dell’assassinio di Antonia Mesina, che si rivelarono agghiaccianti. La ragazza era forte e riuscì inizialmente a fuggire. Inseguita dall’assassino, Ignazio Giovanni Catgiu, venne raggiunta e sottoposta a terribili colpi con una sasso che la fecero cadere una prima volta. La ragazza cadde raggomitolata sui gomiti prima di cadere bocconi. In quel punto venne trovata una prima pozza di sangue.
Il Catgiu afferrò Antonia e la trascinò per nove metri, tirandola per i capelli, fino ad alcuni cespugli dove tentò di strapparle i vestiti e di violentarla. La resistenza di Antonia impedì la violenza sessuale, ma scatenò ulteriormente la furia dell’assassino, che con altri violenti colpi di pietra sul capo la uccise. In quel punto venne ritrovata una seconda pozza di sangue. Catgiu nascose il cadavere tra i cespugli e si allontanò, solo dopo averle schiacciato la testa con una grossa pietra. Quando venne ritrovato, il cadavere era in condizioni orrende: Antonia Mesina venne ingiuriata con settantaquattro ferite. Il viso sfigurato era irriconoscibile. L’autopsia non rivelò tracce di violenza carnale consumata, e Antonia Mesina venne uccisa, come da implicita confessione dell’assassino, poi giustiziato, “per non aver potuto dare sfogo alla sua libidine”.
– Testimoni –
Fu Armida Barelli, il 5 ottobre 1935 a raccontare a papa Pio XI la vicenda del “primo fiore reciso della Gioventù Femminile dell’A.C.I., il primo giglio reciso dal martirio, la sedicenne Antonia Mesina di Orgosolo, educata alla scuola di Maria Goretti”. Furono migliaia le lettere che perorarono la richiesta di beatificazione di Antonia Mesina, ed il 22 settembre 1978 papa Giovanni Paolo I ratificò il processo del martirio, delle virtù specifiche e dei segni di santità. Fu papa Giovanni Paolo II a beatificare la martire orgolese il 4 ottobre 1987.
Tra i testimoni diretti dei fatti legati al martirio di Antonia Mesina si deve annoverare il Procuratore generale della Repubblica a Genova, Francesco Coco. Il giudice, assassinato l’8 giugno 1976 dalle Brigate Rosse a Genova, con l’agente di scorta Giovanni Saponara e l’autista, l’appuntato Antioco Deiana, nel maggio del 1935 era giudice istruttore del tribunale di Nuoro e presenziò all’autopsia di Antonia Mesina. Del fatto lasciò una commossa testimonianza.