Per l’Azione Cattolica l’8 dicembre è sempre un giorno speciale. La “Festa dell’adesione” è il momento in cui scegliere l’AC diventa “un fatto ecclesiale”. Pubblichiamo l’intervista di Avvenire al nostro presidente nazionale Prof. Luigi Alici.
Presidente, c’è un accento particolare su questo 8 dicembre, o sbaglio?
No, non sbaglia. Quest’anno la festa viene vissuta come un momento di grande impegno e responsabilità anche perché l’andamento delle adesioni, per la prima volta dopo parecchi decenni, segna un dato positivo, anche grazie alla notevole crescita dell’Acr. Questo aumento conferma una tendenza, poiché dal 2000 ad oggi il saldo negativo si è progressivamente ridotto. Del resto da qualche indagine sociologica, ci risulta che per ogni socio di Ac (attualmente sono poco meno di 400mila), ce n’è almeno un altro che si può considerare molto vicino alla vita associativa.
Sono i primi frutti di Loreto 2004?
Secondo noi sì, perché quell’evento, e soprattutto l’incontro con Giovanni Paolo II, fu il punto di arrivo di un percorso di rigenerazione profonda della vita associativa, che aveva comportato un aggiornamento dello statuto e un nuovo progetto formativo. Noi ora stiamo lavorando proprio per attuare le indicazioni di quel progetto.
In che modo?
Ad esempio con l’istituzione del laboratorio nazionale della formazione, una struttura che offrirà sussidiazione formativa ai responsabili dei gruppi, moduli di sperimentazione missionaria e attiverà anche iniziative di riflessione culturale sulle emergenze educative. Gradualmente, poi, anche le associazioni diocesane si doteranno di un analogo strumento a livello locale. E ci sarà una struttura telematica che consentirà il raccordo tra il livello nazionale e quello diocesano.
Il prossimo anno l’Ac si avvia a celebrare il 140° di fondazione. Quali iniziative sono in cantiere?
Stiamo preparando una serie di manifestazioni tra l’autunno del 2007 e la primavera del 2008 e confidiamo di concluderle con un grande incontro in piazza San Pietro. La data di fondazione è da collocare, infatti, tra il 1867 (anno in cui nascono i primi circoli di Ac) e il 1868 (anno del riconoscimento ufficiale da parte della Chiesa). Per questo abbracceremo l’arco corrispondente di tempo, programmando nel 2007 le iniziative nelle città originarie di Mario Fani e Giovanni Acquaderni e nel 2008 a Roma.
In questa storia ultracentenaria come si inseriscono i risultati del Convegno di Verona, cui l’Ac ha partecipato attivamente?
Effettivamente ci siamo accorti di una presenza molto alta tra i delegati laici di soci dell’Ac. E da Verona abbiamo raccolto una serie di indicazioni molto importanti che vorremmo continuare a coltivare. In particolare l’invito a mettere al centro della vita cristiana la contemplazione del Risorto, al centro dell’impegno del laico cristiano la questione antropologica e infine, dal punto di vista pastorale, la necessità di attuare una pastorale integrata, capace di fare sinergia tra tutte le realtà che vivono all’interno della comunità cristiana. In questa prospettiva, tra gennaio e maggio, l’associazione promuoverà cinque incontri in altrettante città italiane, ognuno dedicato ad uno dei cinque ambiti di Verona. Lo faremo insieme ad una aggregazione ecclesiale che nella città prescelta è presente in modo particolarmente significativo. E le città dovrebbero essere Napoli (cittadinanza), Taranto (lavoro), Torino (fragilità), Terni (affetti) e Padova (tradizione).
Qual è la novità di Verona rispetto alla vocazione del laico?
Il Convegno non ha evocato le solite questioni di principio, ma ha chiesto ai laici cristiani di aiutare tutta la Chiesa ad acquisire uno sguardo laicale sugli ambiti e a maturare una specifica capacità testimoniale rispetto a questi stessi ambiti. La figura del laico, infatti, è significativa solo nella misura in cui riesce a leggere dentro le pieghe del vissuto (e il carattere trasversale degli ambiti ha consentito di farlo) e si fa carico di raccogliere sia le sfide culturali, sia la ricaduta formativa che ne deriva.
Nell’estate del 2004 venne inaugurata una nuova stagione di collaborazione tra le aggregazioni laicali in Italia. Verona l’ha confermata?
Senz’altro. Anzi direi che il vento di provvidenziale sintonia cooperativa che spira nella Chiesa tra tutte le aggregazioni ecclesiali deve ora tradursi in passi avanti coraggiosi dal punto di vista della pastorale e della testimonianza missionaria. Dopo Verona avvertiamo non solo la comunione che si è sperimentata, ma anche il fatto questa comunione non è fine a se stessa, ma è per la missione.
a cura di Mimmo Muolo
Intervista pubblicata su Avvenire del 8 dicembre 2006